Riflessione sulla pena di morte

(Spunto da un saggio di Albert Camus)

di Federico Canziani

Un punto su cui tutti gli uomini sono fondamentalmente solidali in modo potremmo dire assoluto è l’avversione nei confronti della morte e la solidarietà reciproca contro di essa.

Lo dimostra, tra le varie organizzazioni sociali finalizzate alla salvaguardia della vita, anche il semplice atto medico e l’immane sforzo che lo precede come impegno in ambito scientifico, e mi riferisco ai sacrifici richiesti dalla ricerca e dalla pratica.

La comunità umana è geneticamente e spontaneamente solidale riguardo la repulsione nei confronti della morte e della sofferenza.

L’egoismo e la cattiveria oltre che la convenienza inducono a trasgredire questo principio innato, per arido e privo di scrupoli interesse personale.

Per questo la pena di morte, che tradisce la naturalità dell’istinto umano ed animale alla sopravvivenza, costituisce la forzata deviazione dalla solidarietà contro la morte e risulta quindi ingiusta e da sopprimere con tutte le forze a disposizione.

La pena capitale è innaturale e parteggia per la deviazione perversa dal corso naturale ed istintivo dell’impegno reciproco per la sopravvivenza. Costituisce quindi una innaturale aberrazione.

Costituisce la miserabile soddisfazione dell’istinto di vendetta, concettualmente insensato ed irrazionale, privo di fine logico e benefico ed unicamente dettato dalla frustrazione.

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